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Autore Invincibile
ermejofico

Reg.: 17 Ago 2005
Messaggi: 662
Da: roma (RM)
Inviato: 20-08-2008 10:25  
Sono bavarese, del tardo medioevo, fisico. (Herzog a “Film Quarterly”, 1977).

La mentalità medioevale considera il tempo come possesso di Dio: l’uomo lo abita temporaneamente, non lo influenza, non può disporne liberamente. La dimensione del futuro gli è dunque preclusa, se non per fugaci strappi, attraverso immagini nascoste sotto il velame dell’allegoria o dell’enigma, la cui visione è concessa al mistico o al poeta. Werner Herzog, a cui si attribuisce, non impropriamente, l’etichetta di “regista visionario”, al momento in cui decide di confrontarsi con la Storia (la ascesa del nazismo nella Germania del 1932), lo fa quindi coerentemente attraverso l’analisi della profezia. I due protagonisti – antagonisti della vicenda rappresentano allora due opposte visioni del tempo: secondo la concezione medioevale (il forzuto Zishe, che vede la sua anima riflessa nelle diafane creature acquatiche della cappella dell’occulto e poi l’avvenire dell’Europa nei sogni che lo spingono alla “predicazione”); e secondo il modello alternativo, umanistico e rinascimentale (il mago Hanussen che considera il tempo “dominio dell’uomo”, per cui la storia segue regole costanti che permettono all’individuo di costruire la propria fortuna, attraverso “lo studio degli antichi e l’esperienza delle cose moderne” - molto sagace, l’illusionista non vuole che Zishe si esibisca in costume da uomo preistorico, lui solo deve impersonare le forze demoniache e primordiali che suggestionano tanto i gerarchi nazisti). Ad Hanussen manca l’istanza etica superiore, la scienza storica messa al servizio della salvezza dello Stato: le sue conoscenze sulla natura umana, le sue prognosi, sono piegate a fini eminentemente egoistici: vuole far carriera e la via per il “Ministero dell’occulto” gli viene spianata da Hitler in persona! Anche lui usa la profezia (l’avvento di Hitler e il Reich millenario della Germania), ma si tratta solo di mosse retoriche e di piaggeria, non di una genuina “visione”: le sue pretese facoltà paranormali sono semplici trucchi da baraccone. Spiega la natura delle sue facoltà medianiche come la capacità di vedere, a differenza delle persone normali, contemporaneamente tutte le facce del dado, ma poi quello stesso dado, in versione gigante, lo fa rotolare in mezzo alla platea durante uno dei suoi numeri, come espediente spettacolare a basso costo, da gioco a premi televisivo. E presto soccomberà, rivelando come la sua ambizione di controllo del tempo fosse utopica.

Vi è poi un terzo personaggio, Benjamin il fratello piccolo del gigantesco Zishe. Questo personaggio si fa titolare di un ulteriore senso del tempo, il tempo in cui sono gli uomini stessi che, non più spettatori, né semplici analisti, diventano veri e propri attori e costruttori di futuro, attraverso il dispiegarsi delle forze storiche, e lo sviluppo delle macchine. Herzog gli mette addirittura in bocca una sua propria “profezia tecnica”, la definitiva prevalenza dei dirigibili sugli aereoplani, “chiodo fisso” del regista che ritorna, successivamente, nel prologo in forma di film di montaggio dello straordinario “White diamond” (2004). Il tempo del giovane Benjamin è il tempo dello spettacolo e delle masse: nonostante la giovane età, il precocissimo intellettuale mai uscito dal suo villaggio ebreo nel cuore della Polonia, intuisce l’inclinazione moderna alla spettacolarità (trascinato al cinema dall’impresario tedesco, quando la proiezione inizia, non si volta indietro, nella direzione da cui proviene la luce, come fa invece Zishe). Tenterà, inutilmente, di aiutare il fratello a diffondere il suo appello alla resistenza alla nazione polacca, ma il suo sistema di pensiero non è adatto alla contemporaneità: forse, nel futuro, il suo razionalismo troverà cittadinanza, ma la Polonia del 1932 non è il luogo idoneo a questo genere di discorso (potrebbe essere questo, il senso del suo “volo” conclusivo, in sintonia con la figurazione favolistica dell’Europa ebraica dell’est, l’immaginario di Chagall).

Herzog sceglie in questo film la via della finzione e della narratività classica, accettandone tutto il bagaglio linguistico conseguente. Ci sono i protagonisti buoni e gli antagonisti cattivi, c’è perfino la “donna contesa” che si fa causa dello snodo narrativo più importante del film (la ribellione aperta di Zishe ad Hanussen) … Rispetto ai suoi documentari - favola dunque, il regista non utilizza qui giustapposizioni spericolate di inquadrature (“Fata Morgana”) o i divorzi traumatici e fecondissimi di suono ed immagine che si negano vicendevolmente (“The wild blue Yonder”). Si possono addirittura definire “consueti” i raccordi più importanti del film (la visione apocalittica dell’invasione dei crostacei rossi è introdotta, con la tecnica classica della soggettiva inversa, come sogno del protagonista; i documentari in bianco e nero della Berlino pre bellica e delle macchine volanti sono proiettati in un cinematografo diegeticamente reale). Ma anche qui, dietro l’ovvietà, si nasconde il sofisticato gioco metalinguistico: l’immagine della realtà, “la Storia”, è sostanzialmente finzionale, fasulla, frutto dalla messa in scena (anche l’analista herzoghiano più smaliziato potrebbe scambiare per un attimo le sequenze del teatro o del tribunale per un buon Spielberg o per un recente Verhoeven). Ma quando viene il momento di passare le parola alla visione (nella sala cinematografica o nel sogno di Zishe, l’eletto), quando si spalanca la dimensione del fantastico e della profezia, è l’immagine della realtà ad occupare interamente il campo: come in “The wild blue yonder”, come in “Apocalisse nel deserto”, come in “Fata Morgana”, il documentario diventa la forma unica possibile della fantascienza.

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"Che cosa te ne fai di una banca se hai perduto l'amore?"

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